Un sistema ritenuto efficace per combattere le streghe era di far bollire in un grande calderone gli oggetti domestici o gli indumenti che si ritenevano portatori delle fatture. Durante la bollitura, se qualcuno degli oggetti era stato stregato, si cominciavano a sentire lamenti sempre più forti e insistenti, finché la strega responsabile della malefatta, solitamente celata sotto le sembianze di una persona all’apparenza innocua, si doveva svelare per non rischiare la bollitura che la colpiva tramite l’oggetto stregato, e di conseguenza subiva il castigo previsto per questi casi. Una vicenda del genere capitò a un giovane mulattiere di Dossena il quale aveva solo una sorella, sposata con un fannullone, assai cattiva e invidiosa del fratello che era invece stimato da tutti per la sua intraprendenza e abilità nel portare a termine gli incarichi assegnatigli. A forza di lavorare dall’alba al tramonto, il giovane era riuscito a mettere insieme un certo numero di muli e cavalli da tiro, con i quali trasportava ovunque per conto terzi ogni sorta di materiali.
I quadrupedi erano la sua fonte di guadagno e perciò il mulattiere li trattava con ogni cura, badando che mangiassero a dovere, si riposassero dopo le fatiche quotidiane e non prendessero freddo quando erano sudati. Tuttavia, malgrado le attenzioni, non passava anno senza che un animale si ammalasse improvvisamente e morisse per cause inspiegabili. Convinto di essere vittima del malocchio, il giovane si rivolse finalmente a un vecchio saggio del paese il quale gli indicò cosa avrebbe dovuto fare se si fosse ripetuto un caso di malattia improvvisa tra gli animali. Così, quando notò che il mulo più mansueto e più apprezzato per la sua forza si era ammalato e stava morendo, mise in pratica i consigli del vecchio: riempì d’acqua una grande pentola, vi immerse tutti i finimenti del mulo e li mise a bollire sul fuoco del camino. Dopo un po’, quando l’acqua stava per bollire, cominciò a sentire richieste di aiuto e lamenti emessi da una voce femminile che sembrava provenire dalla pentola.
Il giovane, al quale era stato preannunciato questo strano fenomeno, non se ne curò e continuò a tener vivo il fuoco con grossi ceppi di legna. Ma i lamenti divennero sempre più acuti e si trasformarono in urla strazianti, poi la porta fu scossa da un bussare furioso, accompagnato dalle suppliche spasmodiche della voce che implorava il giovane di togliere la pentola dal fuoco. Alla fine la donna svelò la propria identità: era la sorella del mulattiere che gli chiedeva perdono, dicendogli che se non avesse fatto in fretta a levarla dal fuoco sarebbe cotta fino a morire. Al sentire la voce della sorella, il giovane comprese finalmente chi era la strega che gli aveva fatto morire i muli, ma dato che aveva buon cuore spense subito il fuoco e aggiunse acqua fredda a quella bollente. Poi corse ad aprire la porta, ma ormai era troppo tardi: la sorella giaceva a terra, morta bollita. La disperazione del fratello si trasformò poco dopo in rassegnazione, quando, entrato nella stalla, vide il mulo in piedi, completamente guarito e intento a mangiare di buona lena il fieno dalla greppia.
L’espediente della bollitura come rimedio contro le streghe era ritenuto efficace un po’ in tutta la Bergamasca. A Casnigo, quando capitavano episodi attribuiti a stregoneria, si decideva di immergere un crocifisso a testa in giù in una pentola piena d’acqua bollente in cui erano stati immessi degli indumenti della persona ritenuta all’origine delle scellerate fatture. Capitava allora che il colpevole (o, più spesso, la colpevole) si mettesse a urlare di dolore, come se il suo corpo stesse bollendo in pentola e chiedesse a gran voce di essere liberato da quel tormento, svelando così la sua vera natura. La pratica della bollitura del crocifisso era rigorosamente vietata dalle autorità ecclesiastiche, ma quando era in ballo la salvezza delle persone care non si tenevano in gran considerazione i divieti. A Villa d’Almè, ad esempio, le mamme ricorrevano alla bollitura preventiva, assieme al crocifisso, degli indumenti dei bambini quando ci poteva essere il rischio che i loro piccoli frequentassero ambienti infestati da streghe. Credenze ovviamente piuttosto balzane, come quella che aveva individuato nientemeno che il quartier generale delle streghe, per alcuni situato al passo del Tonale, per altri in una stretta e tortuosa vallata delle Orobie, dove nottetempo si davano convegno migliaia di queste inquietanti entità della notte per ritemprarsi prima di intraprendere le altre inique spedizioni.
Tratto da Storie e leggende della Bergamasca di Wanda Taufer e Tarcisio Bottani – Ferrari, Clusone, 2001