Come se non bastassero i serpenti a rovinare la vita ai nostri antenati, ci si mettevano anche i gatti. Si racconta che un contadino, di ritorno dal lavoro nei campi, cominciò ad essere seguito da un grosso gatto, che non lo abbandonava finché non metteva piede in casa. Una sera, stanco di vedere questo gatto, gli diede una bastonata, colpendolo a una zampa e il gatto se ne fuggì zoppicando e miagolando mestamente. Il contadino, arrivato a casa, venne a sapere che poco prima la sua moglie era stata colpita da un pezzo di legna caduto da una catasta e aveva riportato la frattura di una gamba. Allora non poté fare a meno di pensare che quel gatto vendicativo altri non era se non la moglie che, sotto sembianze feline, lo seguiva chissà poi per quale strano motivo! A volte, però, i gatti tornavano anche utili all’uomo, come accadde a un giovane di Oltre il Colle che stava rientrando dal lavoro dopo aver ricevuto la paga mensile. Arrivato presso il ponte della Val Parina, il giovane vide in mezzo alla strada un grosso gatto che sembrava intenzionato a impedirgli di passare. Prima con le buone e poi con le cattive, cercò allora di scansare l’animale, ma questo rimaneva lì, imperterrito, con fare minaccioso, ben deciso a non arretrare di un passo. Il giovane, incapace di venire a capo di questa insolita situazione, finì col sedersi a lato della strada, sperando che il gatto decidesse finalmente di andarsene.
Aspetta e aspetta, passò parecchio tempo, ma il gatto non si muoveva. E fu un bene, perché di là dal ponte, appostati dietro un cespuglio, c’erano due briganti armati di bastoni, che attendevano il giovane per aggredirlo e derubarlo. Stanchi di aspettare e visto che la situazione non si sarebbe sbloccata, i due malfattori dovettero venire allo scoperto e il gatto si avventò contro di loro con tale furia da costringerli alla fuga nel fitto del bosco. Così il giovane poté riprendere il cammino e tornare a casa sano e salvo, convincendosi in cuor suo che quel gatto in verità non era altro che l’anima di un suo caro defunto, tornato sulla terra ad aiutarlo. Assai strano è anche il gatto parlante, protagonista di una storiella che si racconta a Casnigo. Si dice che una ragazza, mentre stava facendo ritorno a casa dopo una giornata di lavoro in filanda, incontrò un gatto che si diede a seguirla docilmente come un cagnolino. Arrivata fuori la ragazza si accostò alla fontanella che stava nel suo giardino e, dopo aver bevuto un sorso d’acqua, si mise a spogliarsi e a lavarsi, senza curarsi di chicchessia. Mentre era intenta a tale disinvolta operazione, la giovane notò che il gatto se ne stava lì vicino e la osservava con interesse ridendo di gusto! Infastidita dall’impertinenza del felino e stupefatta per quel singolare sorriso, la ragazza esclamò: “Toh, adesso mi tocca anche di vedere un gatto che ride!”. E prontamente il gatto, che non solo sapeva ridere, ma anche parlare, rispose: “E a me tocca di vedere una ragazza scostumata che si toglie i vestiti all’aria aperta!”.
Ed eccoci alla gatta cornia, detta da altri la gatta carogna e da altri ancora la gratta corna. Proprio quest’ultima accezione sembra meglio definire il senso che si vuole attribuire a questo essere difficilmente definibile, il cui ruolo sarebbe stato di corrodere le montagne, riempiendole di grotte e caverne, quasi che fosse una sorta di topo alle prese con una forma di cacio. La gatta cornia era un felino molto grosso, famelico e dal pelo nero, dotato di un paio di poderose corna, ed era solita uscire dalla sua tana nelle notti di luna piena per aggirarsi tra i boschi e le montagne nel vano tentativo di saziare il suo insaziabile appetito. Era difficile, se non impossibile sorprenderla, ma si potevano facilmente trovare i segni della sua presenza quando, andando a spasso tra i boschi, si notavano caverne sempre più profonde scavate nelle rocce calcaree. Questi scavi erano il frutto del lungo grattare della gatta cornia, la quale del resto non era cattiva e non aveva mai fatto male a nessuno, salvo recarsi nottetempo nelle camere dei bambini disubbidienti, sorprenderli nel sonno e grattare i loro morbidi piedini, facendoli svegliare di soprassalto per il fastidioso solletico.
Tratto da Storie e leggende della Bergamasca di Wanda Taufer e Tarcisio Bottani – Ferrari, Clusone, 2001