Una leggenda, che si raccontava a scopo di ammonimento per chi non santificava la festa, ha per teatro la strada della Valle Stabina, nei pressi di Valtorta, un luogo selvaggio e desolato, dove le alte pareti che fiancheggiano la strada strapiombano in profondi burroni. Il fatto accadde una domenica mattina, quando un uomo di Valtorta, invece di andare a messa, si recò in quel luogo impervio per tagliare della legna. Siccome il suo bosco era situato proprio sul fondo della valle, il taglialegna portò con sé tre compaesani affinché lo aiutassero a calarsi fino ai piedi del burrone. Legato l’amico a una lunga corda, lo fecero scendere lentamente lungo la parete rocciosa, ma dopo un po’ si accorsero con spavento che la corda si allungava sempre più, il burrone diventava sempre più profondo e l’amico, attaccato alla corda, continuava a scendere, diventando ogni momento più piccolo. In preda alla disperazione cercarono allora di tirarlo su, ma all’altro capo della corda il peso diventava insostenibile, come se vi fosse applicata una forza sovrumana. Ad un certo punto scorsero il loro compagno cadere a precipizio e lo udirono gridare: “Laghì ‘ndà la corda e ‘ndì a mèssa ca l’è tarde!”.
I tre, mollata la corda, scapparono in preda al terrore, ma fatti pochi passi sentirono un grande frastuono seguito da un orribile lamento. Si voltarono e videro alte fiamme levarsi dal burrone e nel mezzo lo sventurato compagno, stretto fra gli artigli di un mostro immondo. Si era spalancato l’Inferno per inghiottire quell’uomo senza timor di Dio! C’è chi assicura che ogni tanto passando da quelle parti in certe ore della notte, si odono ancora gli echi dei lamenti e si intravedono i bagliori delle fiamme.Si ricorda ancora oggi la disavventura capitata a un contadino che aveva più a cuore il suo lavoro nei campi piuttosto che preoccuparsi di santificare le feste. Una domenica mattina, mentre tutti i suoi compaesani erano a messa, egli se ne stava in mezzo al suo prato intento a falciare il fieno, cosa che faceva sempre durante la stagione estiva, convinto che fosse più importante badare al proprio lavoro che non alla salvezza dell’anima. Affaticato per il lavoro che durava da un paio d’ore, si fermò un attimo a riposare e proprio in quel mentre dal campanile della parrocchiale si riversarono sulla campagna le solenni note del sanctus, annuncianti il momento culminante del sacrificio della messa. Incurante di questo sacro suono, il contadino riprese di buona lena a falciare, ma al primo colpo venne investito da una forza misteriosa che lo fece piroettare su se stesso come una trottola e lo affastellò negli stessi fasci d’erba che aveva appena tagliato. Poi, come sospinto da un impeto di vento, fu trascinato ai margini del prato e fatto precipitare in fondo a una scarpata.
Questa volta, per sua fortuna, si trattò solo di un avvertimento, infatti il malcapitato riuscì non senza difficoltà a districarsi dall’incomodo fascio e, tornato a casa, giurò che da quel giorno si sarebbe guardato bene dal trascurare il precetto festivo. Ma, in materia di punizioni per i miscredenti, non è finita qui. C’era un giovane cacciatore che la domenica anteponeva il suo hobby alle sacre funzioni. La vecchia madre lo scongiurava di santificare il giorno del Signore, ma lui, imperterrito, continuava ad andare a caccia, mentre in chiesa veniva celebrata la messa. Ma dovette pentirsene! Una domenica, durante una battuta che fino a quel momento non gli aveva fruttato un gran che, si imbattè in uno scoiattolo che si stava arrampicando lungo il tronco di un abete. In mancanza di meglio, il cacciatore pensò che gli avrebbe fatto comodo anche quel minuscolo roditore e gli puntò contro il fucile. Proprio mentre stava per premere il grilletto, si udirono in lontananza le campane a distesa del suo paese che annunciavano il sanctus, e nello stesso momento lo scoiattolo, raggiunto un ramo, si sollevò sulle zampe posteriori e, rivoltosi al cacciatore. parlò!
“Non spararmi, smettila di andare a caccia la domenica e vai a messa!”. Queste parole, pronunciate dallo scoiattolo, ebbero effetto immediato: il giovane gettò il fucile e si precipitò verso casa. Da quel giorno non pensò più nemmeno lontanamente di andare a caccia, non solo la domenica, ma anche nei giorni feriali. Un tempo si credeva che sotto il ponte della Valle Stabina, al bivio tra Ornica e Valtorta, fossero confinate le anime di coloro che da vivi non avevano rispettato il precetto della messa domenicale, ma avevano disertato la dottrina e le pratiche religiose, preferendo dedicarsi al lavoro o ai divertimenti. E così, dopo la morte erano andati diritti all’Inferno. Questi dannati erano in gran numero e ogni tanto si facevano vedere dai passanti, oppure si facevano sentire con urla e strepiti che incutevano terrore. Chi passava da quelle parti di notte, con muli o asini, si trovava in difficoltà perché, giunti all’altezza del ponte, gli animali si fermavano terrorizzati, giravano su se stessi come impazziti e si scrollavano di dosso la soma, rifiutandosi di avanzare anche solo di un passo. Nessuno era più in grado di farli proseguire fino all’alba, quando, ai primi chiarori del nuovo giorno, si udiva un frastuono, un precipitare di sassi che si fermava con un tonfo sordo sul fondo della valle. Solo allora gli animali tornavano tranquilli e riprendevano il cammino. Finalmente nel 1909 venne trovato un sicuro rimedio contro queste manifestazioni d’oltretomba: il parroco di Valtorta, don Stefano Gervasoni, che godeva fama di santità e possedeva doti di esorcista, dopo aver indetto un periodo di preghiere collettive, portò i suoi parrocchiani e quelli di Ornica in processione verso la zona degli spiriti e, dopo averla benedetta, collocò un crocifisso sulla parete rocciosa che strapiomba sulla valle. Il crocifisso è ancora là e da allora, sostengono gli anziani del paese, gli spiriti dannati non si sono più fatti sentire.
Tratto da Storie e leggende della Bergamasca di Wanda Taufer e Tarcisio Bottani – Ferrari, Clusone, 2001